Anfiteatro Romano (Museo Archeologico)

(Anfiteatro romano, vista aerea dei resti).

Situato nella zona meridionale della "città murata", è accessibile da via Margaritone e da via F. Crispi. Realizzato tra la fine del I e l'inizio del II sec. d.C. con blocchi di arenaria, laterizi e marmi, presenta una forma ellittica, a due ordini di gradinate.

L'asse maggiore misura m. 121; la capienza raggiungeva, presumibilmente gli 8 mila spettatori. Ripetutamente saccheggiato, nel corso dei secoli è stato privato dei materiali più preziosi per erigere edifici di culto, quindi parzialmente interrato.

Ancora visibili la platea e parte degli ambulacri.

Sui resti dell'emiciclo S. è stato costruito nel XVI sec. il Monastero di S. Bernardo, oggi sede del Museo Archeologico.

La sede del museo archeologico.

L'area in cui sorgeva l'anfiteatro romano fu comprata nel 1333 da Bernardo de' Tolomei, fondatore dei Benedettini Olivetani, che fece impostare sulla parte meridionale del monumento il monastero degli Olivetani di Arezzo ed edificare la chiesa dedicata alla Vergine, S. Giuseppe e S. Bernardo. Il monastero assunse la forma ellittica dell'anfiteatro ed incorporò parte delle strutture romane, tuttora visibili in alcuni ambienti al pian terreno.

L'edificio fu dotato di un prospetto architettonico notevole e vi fu annesso ad occidente un chiostro, di cui rimane solo una parte, decorato da affreschi, ora perduti. (Lorenzo di Bicci e Marco da Montepulciano).

Il monastero, nel 1866, fu incamerato nel demanio dello Stato e concesso in uso al comune di Arezzo che, nel 1937, sistemando le antiche collezioni della Fraternita dei Laici, vi inaugurò il museo archeologico.

Dopo la guerra, che produsse notevoli danni alle collezioni, l'ordinamento fu rinnovato a cura della Soprintendenza alle Antichità d'Etruria ed il museo fu infine riaperto al pubblico nel 1951.

Nel 1973, in base ad un accordo fra il Ministero della Pubblica Istruzione ed il Comune di Arezzo, l'istituto, intitolato a Mecenate, fu dichiarato nazionale e passò alla cura ed alla tutela dello Stato.

L'anfiteatro romano.

L'anfiteatro, che subì durante i secoli gravissime menomazioni, fu esplorato per la prima volta negli anni 1914-15; gli scavi, interrotti a causa della guerra, furono ripresi nel 1926.

Dal 1950 il monumento è stato sottoposto a periodici restauri che lo hanno portato completamente alla luce.

Le sostruzioni alle gradinate dell'anfiteatro comprendevano due ambulacri (corridoi coperti) concentrici ed un terzo anello che doveva delimitare l'arena.

Scomparsi ormai il portico e l'ambulacro perimetrali, è tuttavia possibile individuare i due accessi principali agli estremi dell'asse longitudinale ed i due secondari in corrispondenza dell'asse trasversale.

Ai tre ambulacri si interponevano due fasce di strutture portanti interrotte dai vomitoria, da cellae terraneae e da accessi con scale che si svolgevano tutti intorno all'ellisse, alternandosi con regolarità. Delle strutture restano parti diverse a seconda dei vari punti del perimetro; permangono ampi resti delle costruzioni della cavea: volte dei vomitoria, parzialmente incorporate nei resti del convento, resti di scale per accedere alla media cavea. Sono invece scomparse le gradinate della cavea, anche se si può indicarne il grado di pendenza, riferendosi agli scarsi resti rimasti sul terreno.

Si sono potute facilmente ricostruire le misure dell'anfiteatro di Arezzo: si tratta di una struttura con arena di grandi dimensioni (m. 71,9x42,7), solo di poco inferiore a quella del Colosseo (m. 77x46,5). Assai minore è, in proporzione, lo spessore della fascia muraria (m. 24,7). Le strutture dell'anfiteatro aretino alternano rivestimenti di tipo canonico ad altri di tipo più raro. Le volte dei corridoi anulari sono in opus coementicum (malta mista a coementa, ossia pietrame tufaceo o siliceo). Nei rivestimenti murarii viene adottato l'opus mixtum, si alterna cioè l'opus reticulatum (quadrelli disposti in lunghi filari obliqui) all'opus vittatum (file, vittae, di tufelli rettangolari alternate a superfici laterizie). Le scale interne sono in travertino, all'esterno, l'anfiteatro era probabilmente rivestito di arenaria locale. La datazione dell'edificio è da porsi in età adrianea (117-138 dC.).

Formazione del museo.

All'inizio dell'800 le testimonianze archeologiche aretine, depositate casualmente in edifici pubblici della città, in chiese o conservati in collezioni private, furono riunite per iniziativa di Antonio Fabroni in una collezione pubblica. Nel 1822 la Fraternita dei Laici, un'opera pia aretina fondata nel 1262, metteva a disposizione un locale nella sua stessa sede, nel quale fu aperto il "Museo Pubblico di Storia Naturale ed Antichità". L'impronta archeologica vera e propria fu conferita all'istituto dall'acquisto delle collezioni Bacci e Rossi nel 1850 e nel 1851.

Nel 1882 la sede fu trasferita dal palazzo di Fraternita, in piazza Vasari, al palazzo Barbolani di Montauto in v. S. Lorentino.

Si aggiunsero, nel periodo seguente, numerosi acquisti e donazioni (raccolte Gentili-Lapini, Pasqui, Fabroni, Del Vita, Guiducci) e molti reperti vennero  acquisiti tramite gli scavi compiuti in città e nel territorio. Va segnalato in particolare nel 1889 il passaggio al museo delle donazioni Gamurrini e Funghini.

Nel 1934-35 il Comune, divenuto usufruttuario delle collezioni, ebbe l'idea di dare una sistemazione unitaria alle raccolte archeologiche, separandole da quelle medioevali ed ordinandole nell'attuale sede (1937). Dopo la guerra Guglielmo Maetzke portò a termine il nuovo ordinamento del museo che divenne statale nel 1973.

In questi ultimi anni (1985-88) si è potuto dare inizio ad un nuovo processo di ordinamento scientifico e contemporaneamente al rinnovo, ancora in corso, degli arredi espositivi.

L'ordinamento.

Il museo è ordinato topograficamente al piano terreno (sezioni etrusca e romana), mentre al primo piano si trovano le sezioni speciali e le collezioni.

In particolare sono esposte autonomamente le raccolte appartenenti a personaggi aretini (per esempio il Funghini ed il Gamurrini), che animarono la vita culturale aretina dell'800. Nell’esporre queste collezioni si è seguito il criterio di raccogliere in queste sale gli oggetti privi dei dati di rinvenimento e quelli provenienti da aree diverse dal territorio aretino (Chiusi; Italia meridionale ecc) I reperti invece, il cui contesto archeologico era certo, sono stati ordinati nella sezione topografica del museo.